La presunta nuova stagione di internet somiglia sempre di più a quella che ci siamo lasciati alle spalle dopo lo scoppio della bolla speculativa. Di questi tempi, basta appiccicare l’etichetta 2.0 ovunque per far credere di essere di fronte a novità assolute. Per quanto mi riguarda, condivido il pensiero di Tim Berners Lee, per il quale non esiste il Web 2.0, ma una naturale evoluzione, agevolata dall’innovazione tecnologica, di quello che è sempre stato l’obiettivo del web: facilitare la condivisione di idee e informazioni tra le persone.
La riflessione nasce dopo aver partecipato al convegno Web in Tourism, dove ho assistito ad alcuni interventi, non tutti per fortuna, che sembravano provenienti dal passato. Un orgia di terabyte, repliche 3D di città, oscure interfacce di siti web piene di filmati e animazioni e etichette 2.0 appiccicate un po’ a caso. Tutto descritto senza mai porsi la domanda più importante. A chi e a cosa serve tutto questo? A nulla, secondo me: specchietti per allodole, per vendere servizi inutili ad aziende che non hanno neanche digerito la prima stagione di internet. Parlo delle piccole e medie, quelle grandi sono più smaliziate per caderci di nuovo. A queste aziende si cerca di far credere, di nuovo, aggiungo io, che il loro successo passerà dall’acquistare e implementare sui loro siti web la soluzione tecnologica più evoluta, allettandole con bassi costi iniziali, nel caso specifico un sito web con un’interfaccia inusabile a 500 euro, per poi vendergli tutta la “chincaglieria” di contorno. Non è così. Il modo migliore per avere successo è quello di rispondere alle necessità di chi visita il sito web, fornendo informazioni ben organizzate e servizi semplici da utilizzare. E questo si può ottenere, non mi stancherò mai di ripeterlo, solo coinvolgendo i reali fruitori del sito web nello sviluppo del progetto.