Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di stefano (del 30/05/2007 @ 12:07:40, in Analisi, linkato 2429 volte)
Questa analisi parte da un libro. Non un volume dedicato allo UCD o all’usabilità ma il catalogo di una collezione di oggetti di design. La peculiarità di questa collezione è quella di raccogliere oggetti di uso quotidiano costruiti da normali persone utilizzando materiali di scarto. Vladimir Archipov inserisce nel suo volume Design del popolo (Isbn Edizioni, 23 euro) una parte della sua collezione di oggetti raccolti durante gli anni ‘90 nella ex Unione Sovietica.
Gli oggetti non sono i soli protagonisti di questo libro. Esso contiene anche delle brevi presentazioni degli oggetti a cura delle persone che li hanno pensati e costruiti. Queste persone spiegano anche il motivo, la necessità che li ha spinti a costruire questi oggetti. Suona familiare vero? Persone, necessità/obiettivi e scenari. E una caratteristica che accomuna tutti gli oggetti: la funzionalità.
Cito brevemente alcuni passi di una presentazione per farvi capire: “Questo oggetto (…) l’ha inventato la mia insegnante di chimica (...) le era venuta questa idea geniale: aveva preso un astuccio di rossetto vuoto e aveva fatto una specie di rossetto di gesso. Ci aveva infilato un gessetto e man mano che lo usava lo tirava fuori facendo ruotare la base. Scriveva spesso alla lavagna e alla fine della lezione chiudeva l’astuccio e lo metteva sulla cattedra. Era molto elegante, adatto al suo stile (...). Ovviamente, gli insegnanti maschi non ne hanno bisogno, ma le donne devono dare il buon esempio, devono essere eleganti e in ordine. Non è bello avere tutte le mani sporche di gesso, che poi finirà sui vestiti... (...)". (Racconto di Nataša a pagina 300).
Noi che progettiamo non per noi stessi ma per altri, abbiamo bisogno di strumenti che ci permettano di metterci nei panni delle persone che utilizzeranno il frutto del nostro impegno creativo e progettuale. I personaggi e gli scenari, con le tecniche che ci consentono di svilupparli, ce lo permettono e, cosa più importante, ci permettono di comunicare le necessità degli utilizzatori a tutti coloro che sono coinvolti nel progetto, committenti compresi.
Di stefano (del 22/02/2007 @ 11:46:20, in Analisi, linkato 2912 volte)
Ho letto la frase che dà il titolo a questo articolo alla mostra dell’architetto Fuksas. Scorreva su un grande schermo insieme ad altre e mi sono chiesto a quale etica facciamo riferimento nel nostro lavoro. Dal mio passato di progettista grafico mi è tornato alla memoria Albe Steiner, che sul suo libro Il Mestiere del Grafico scriveva così: “La mia opera va nel senso stesso della produzione, non verso la speculazione ma verso la fruizione, l’uso corrente di quello che è un nostro diritto nella civiltà industriale... Se il prodotto non corrisponde a certe regole o a certe intenzioni, il disegnatore deve rifiutarsi di collaborare... Il consumatore viene prima del prodotto, quindi la grafica deve essere al servizio del pubblico e spingere solo quei prodotti che sono utili anche al consumatore”. Con gli opportuni adattamenti al nostro contesto questa considerazione è tuttora assolutamente valida. Veniamo al perché di questa introduzione. Negli ultimi tempi, visitando alcuni siti web esteticamente molto validi, mi sono imbattuto in una inspiegabile caratteristica: i link avevano lo stesso colore, o uno molto simile, del testo normale. Sappiamo bene che le persone non leggono le pagine web, ma le scorrono velocemente alla ricerca di “appigli” che le possano aiutare ad ottenere le informazioni che cercano. I link sono uno di questi e sono alla base di un corretto sistema di navigazione contestuale. E allora mi chiedo: quali ricerche hanno portato alla scelta di rompere una convenzione ormai acquisita? L’unica risposta che trovo è che esteticamente altri colori avrebbero disturbato l’insieme della pagina, sebbene avrebbero potuto aiutare i visitatori del sito web a raggiungere il loro obiettivo. Non fraintendetemi. Non voglio certo affermare che chi ha progettato queste pagine manchi di etica. Non conosco queste persone e posso solo commentare il loro lavoro. E so bene, lavorando da 20 anni, quanti compromessi si devono fare con la committenza, spesso poco umile e sempre desiderosa di esprimere il proprio punto di vista su campi che non conosce. Ma il nostro lavoro non è quello di esecutori. È quello di essere progettisti consapevoli dell’importanza del nostro ruolo e delle responsabilità che esso comporta e di essere, anche, “agenti del cambiamento”, come ben descritto nell’articolo comparso su UX Matters dal titolo Connecting cultures, changing organizations: the User Experience practitioner as change agent.
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