Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di stefano (del 09/05/2011 @ 16:07:42, in Analisi, linkato 7483 volte)
Di ritorno da Milano, dove ho partecipato a una splendida edizione dell’Italian IA Summit, voglio condividere l’inquietudine nata da un talk sull’ubiquitous computing, ovvero sull’interconnessione tra il mondo reale e quello digitale attraverso oggetti - smartphone, RFId, ecc. - che comunicano tra di loro.
Un brivido anticipatore l’ho provato quando Nicola Palmarini (IBM) ha parlato di “oggetti che comunicano tra di loro al di fuori della nostra volontà”. Poi, con esempi reali - una panoramica molto veloce - ha descritto oggetti che comunicano il livello di stress di una persona, applicazioni che permettono di monitorare le persone dall’esterno delle loro case e altre cose simili. Tutto molto bello, un mondo ideale illuminato dal sol dell’avvenire digitale.
Ma quel brivido è divenuto vera e propria inquietudine quando, alla fine dell’intervento, ho chiesto se tutta questa tecnologia pervasiva poteva portare a sviluppare strumenti di controllo sociale e personale. La sua risposta è stata che dipendeva soprattutto da noi, perché in prima persona forniamo coscientemente e volutamente informazioni sul quando, dove, come e cosa facciamo.
Questo mi inquieta perché non è vero. Dare la responsabilità al singolo individuo per quello che potranno fare potere politico ed economico con l’utilizzo di queste tecnologie è voler chiudere gli occhi sul mondo in cui viviamo. Sarà che ho letto troppo fantascienza nella quale l’uomo non è padrone del suo destino - Dick e Ballard in particolare - ma io posso fare ben poco per difendermi. Posso, come in effetti faccio, evitare di lasciare tracce della mia vita quotidiana sui social network generalisti e fare a meno delle carte fedeltà, ma non posso evitare che altri, a mia insaputa, possano farlo (per esempio pubblicando una mia foto su Facebook o su Flickr). Ma qui non voglio analizzare questioni di privacy, di etica e quant'altro. Quello che voglio sono strumenti di difesa, protocolli e oggetti che mi permettano di combattere l’uso distorto che verrà fatto di queste tecnologie.
Questa è la mia modesta lista dei desideri: - uno strumento che mi permetta di individuare gli RFId, sapere che - informazioni raccolgono, per conto di chi e di poterli neutralizzare; - uno strumento che impedisca la scansione remota degli oggetti digitali - di mia proprietà; - uno strumento che mi permetta di non restare prigioniero di una rete digitale; - uno strumento che mi permetta di mappare sul territorio gli oggetti destinati - al monitoraggio dei device mobili.
Non mi sembra di chiedere troppo e, se qualcosa già esiste, avvisatemi.
Di stefano (del 20/02/2012 @ 08:17:21, in Analisi, linkato 5071 volte)
Questo fine settimana sono stato a un meeting di una grande agenzia di comunicazione visiva a parlare di user experience. Per due giorni ho seguito i loro interventi su brand, reputazione online, pubblicità e di molto altro. Ma in ogni presentazione e in ogni caso di studio non c’era traccia dei destinatari di tutte le attività comunicative: le persone. Ne come punto di partenza ne come punto di arrivo. Solo in una slide si è intravisto un accenno di focus group passivo, dove i partecipanti si limitavano a dire mi piace/non mi piace. Sono stato l’ultimo a intervenire e ho spiegato c’osé la user experience e perché è importante. Per rinforzare questo aspetto ho raccontando alcune storie reali. Il mio obiettivo era quello di evidenziare che se non curi tutti i canali di comunicazione, soprattutto quelli che le persone utilizzano per interagire con l’azienda, non servirà a nulla progettare sapientemente una brand identity, sviluppare una campagna pubblicitaria che fa incetta di premi, curare la reputazione online con certosina dedizione. Perché è cambiato il mondo, e se prima la comunicazione chiedeva sporadicamente il supporto dell’interazione ora è l’interazione il veicolo principale della comunicazione. Dopo di me ha parlato il presidente dell’agenzia e qui c’è stato il colpo di scena. Il concetto che avevo espresso poca prima e veicolato in modo molto garbato è stato esplicitato in modo chiaro, quasi brutale direi: o ci adeguiamo o moriamo, perche il mondo intorno a noi è cambiato e noi siamo rimasti fermi. Questo, aggiungo io, è valido anche per molte aziende che non si occupano di comunicazione. Avevo già incontrato, nel 2008, alcune persone di quest’agenzia, per presentare i servizi di usertest/lab e spiegare loro che progettare correttamente la user experience è importante per la brand identity e la reputazione online. Mi fu detto che loro lavoravano su un altro livello e che l’approccio user-centered non gli interessava. Ora dovranno inseguire e non sarà facile. Perché quando si passano tanti anni di fronte allo specchio dei desideri a tirare fuori centinaia di pietre filosofali, non una come Harry Potter, poi è difficile coprirlo e chiudere la stanza a doppia mandata. Quelle pietre che trasformavano tutto in oro ora sono zavorra. Ci vuole un cambio di mentalità notevole per uscire fuori, tra le persone alle quali non frega nulla del tuo lavoro, prese come sono dalle necessità contingenti e a perseguire i loro sogni e progettare per loro. Senza contare la difficoltà di convincere aziende alle quali hai proposto fino a ora un modello di comunicazione e spiegargli che quel modello è superato e che progettare per i loro clienti è molto più importante che vincere premi.
|